Associazione Culturale Due Sicile – Sede di Milano
3 nov
di LUDWIG RICHARD ZIMMERMANN
TRADUZIONE, NOTE E COMMENTO
di
ERMINIO de BIASE
Titolo originale dell’opera: Erinnerungen eines ehemaligen Briganten-chefs – Berlin 1868.
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Trama del libro:
Il ventiduenne Ludwig Richard Zimmermann, ex ufficiale dell’esercito austro-ungarico, alla fine di agosto del 1861, giunge a Roma per mettere il suo braccio a disposizione di Francesco II, ormai ex Re delle Due Sicilie e della sua eroica consorte, Maria Sofia von Wittelsbach, l’eroina di Gaeta. Egli è affascinato dalla sfortuna della giovane coppia reale in esilio ma segue anche l’impulso del suo animo che lo portava dalla parte di poveri montanari che conducevano la battaglia della disperazione contro le grandi idee dei tempi moderni.
Viene destinato alle truppe del “Brigante” Luigi Alonzi “Chiavone” (continua…)
31 ott
Fatti e misfatti del Risorgimento
di Gigi Di Fiore
Esiste una memoria omologata che, per creare da zero un’identità nazionale, ha coperto o rimosso scomode verità su come venne unita l’Italia tra il 1848 e il 1870? Attraverso documenti inediti e consultando numerosi archivi anche privati, Gigi Di Fiore, studioso del Risorgimento e del brigantaggio post-unitario, racconta, con agile stile giornalistico, gli anni fatidici in cui fu costruita l’Italia, svelandone i falsi miti e le mistificazioni. Ne emerge un quadro diverso da quello che si è insegnato e si insegna ancora frettolosamente a scuola, dove l’ansia di creare radici condivise e di “far diventare italiani” intere generazioni di piemontesi, lombardi, veneti, napoletani, toscani, siciliani ha rimosso non solo numeri e crudeltà della prima guerra civile nazionale, quella del brigantaggio, ma anche le corruzioni, le bugie, le rappresentazioni eroiche dove i buoni erano sempre gli unitari da una parte e i cattivi antiunitari dall’altra. Non a caso, molti problemi di cui si dibatte oggi in Italia sono diretta eredità degli anni in cui fu realizzata la Nazione da appena il 2 per cento dei 21 milioni di abitanti della penisola: nel libro, ricco di retroscena inediti su quel periodo, si scopre, pagina dopo pagina, che molti dei temi politici, culturali ed economici di attualità erano già dibattuti agli albori dell’unità. Qualche esempio, tra i tanti contenuti nel testo:
1) Mafia e camorra – Nella mitizzata avanzata di Garibaldi ebbe un ruolo importante la criminalità (continua…)
22 ott
Di Pino Picciariello
Un giovane aristocratico napoletano,rampollo di una delle famiglie più nobili e devote alla dinastia dei Borboni di Napoli,vive il tramonto di questa casata.
Pur criticando alcuni aspetti della miope ma accorta politica del suo re,intravede tempi cupi per le riconoscenti popolazioni meridionali che voltano le spalle alla dinastia che li ha elevati,per la prima volta dopo secoli di sottomissione,al rango di sudditi di un “regno”.
Difatti la storia gli darà ragione.
Oggi i meridionali si sentono abbandonati dai discendenti di quei fratelli settentrionali che liberano il meridione dalla “tirannia” dei re di Borbone con tanto eroismo e promesse di prosperità e civiltà.
Scomparsi i Gattopardi di Tomasiana memoria oggi imperano nel Sud solo sciacalli,in un orribile scenario che ha vanificato il glorioso Risorgimento italiano.
Energico,altruista,passionale,ricercatore di verità “vere”,fino a spingersi nella lontana India per avere risposte definitive al perché dell’esistenza.
Tra passioni amorose,lirismo,problematica storica e politica il barone Filangieri sarà vinto solo dal destino,più grande e più forte anche del più grande e più forte degli abitanti di questo strano Sud
….Valerio da buon napoletano viveva con frenesia la bellissima festa del natale.Fin da piccolo era stato accostato alla passione per il presepio.Puntualmente ogni anno, all’avvicinarsi dell’evento si dedicava alla ricerca di nuove e pregiate statuette per arricchire la bellissima collezione di famiglia.
A questa passione sacrificava giorni interi in estenuanti ricerche,spingendosi fino ai paesi più lontani. Quell’anno si era recato in terra di Bari.Dopo aver visitato le province di Lecce e Taranto si trovava ora sulla via del capoluogo.In quelle province vi erano vi erano piccoli paesi famosi per la produzione di statuine in terracotta,molto ambite dai collezionisti; era riuscito a trovarne alcune di pregevole fattura.Sulla via del ritorno pensava alla loro collocazione nel grande presepe che stava allestendo col padre a Napoli.Entrava nella cittadina d’Acquaviva delle fonti,a poche decine di chilometri da Bari.Le ombre della sera avevano ammantato la strada.Il freddo pungente e secco spinse Valerio a fermarsi nella cittadina.Stava informandosi dove poter trovare alloggio quando uno strano fremito percorse il suo cavallo.Questo si arrestò improvviso,tirando calci per aria e scartando continuamente per disarcionarlo. Riuscì nell’intento procurando al malcapitato un terribile volo contro il muro di una chiesa.La rapidità con cui si svolse l’azione lo colse impreparato nella disgraziata caduta.Ne riportò una contusione al ginocchio e dolori lancinanti al bacino ed ai gomiti.
E sventura ancor più grave,il prezioso pacco contenente le statuette di terracotta era finito sotto il suo peso,provocando la rottura dei pezzi pregiati. Ma il peggio doveva ancora venire!Stava cercando di rimettersi in piedi soffrendo terribilmente quando tutto il mondo cominciò a crollargli intorno!Non riusciva a capire se era la sua testa che non connetteva o se davvero la realtà circostante stava cambiando forma:i muri dei palazzi tremavano con tremende vibrazioni,gonfiandosi a dismisura per poi schiantarsi di botto.Crepe si aprivano nel terreno,calcinacci piovevano dal cielo come grandine,paurosi boati e sordi brontolii rompevano con fragore la quiete della sera:il terremoto stava squassando la città e il suo cavallo lo aveva preavvertito.Era la sera del 16 Dicembre 1857,ed un violento terremoto scuoteva il Vulture e le zone circostanti…..
Edito da Schena Editore, v.le Stazione, 177 – 72015 Fasano (BR)
22 ott
di Antonio Boccia
……. “ Giunto in prossimità della città Massena divise l’armata in tre corpi, il primo dei quali attaccò la parte alta della Città e l’altro il Borgo inferiore; Massena la invase con la Riserva attraverso i campi, pigliando una via diramatesi dall’arteria principale “ …….
……. Ma il nucleo forte delle truppe napoletane si trovava proprio nell’abitato inferiore, il cosiddetto Borgo; in particolare la strada principale, che tagliava la città, era stata sbarrata in più punti con tronchi di albero, travi e macigni. Molto probabilmente, poi, proprio a difesa del passo, il colonnello Versace aveva piazzato anche i cosiddetti “briganti calabresi”, quelli veri, spesso utilizzati dai borbonici come ultima risorsa e tanto temuti dai francesi (i quali, a conferma di ciò, riportano nelle loro fonti di aver riconosciuto sulle barricate molti uomini dal tipico cappello nero con una penna sulla punta). Ebbe perciò inizio il cannoneggiamento e la città fu così posta sotto assedio dalle due divisioni francesi.
Nella sua “Storia del Regno di Napoli”, il liberale Pietro Colletta riconosce, non senza una certa ammirazione, che “ né minacce né pericoli impaurirono quelle genti “. Infatti calabresi, napoletani e lucani restarono al proprio posto, nonostante la pioggia di obici che cadeva loro addosso.
Il primo tentativo di sfondare con un assalto all’arma bianca le barricate si risolse con un massacro di soldati francesi : non uno riuscì a penetrare. E parimenti i due successivi assalti, fermati dal fuoco dei borbonici.
Aggiunge De Montigny : “ Dietro la barricata sono gli insorti; le terrazze e le finestre delle case sono occupate da uomini armati di schioppo; giungono a noi da ritta e da manca palle da due oncie: ma non ci si fa caso e si prosegue al grido di Avanti, Avanti”.
La tattica venne poi improvvisamente cambiata dal Massena, con l’attacco simultaneo sia nella parte inferiore che in quella superiore della città.
Come si è visto, infatti, Massena era stato costretto a disporre l’assalto in massa delle sue truppe, comprendendovi anche la “riserva”, consapevole di aver trovato un’accanita e dura resistenza da parte dei locali.
Il generale Gardanne, insieme al generale Parroneaux con il 29° Reggimento dei Dragoni, assediò l’abitato inferiore, mentre il generale Vintimille insieme al Mermet con il 22° Reggimento di Fanteria Leggera, invase quello superiore, presso le tre porte principali dell’abitato. Intanto, Massena e il colonnello Donzelot entravano nel quartiere denominato Ravita.
Ma, continua De Montigny, “ le masse degli insorti, armate di fucili, sono poggiate contro i muri; altri stanno ad occupare terrazzi e finestre e altri sono al riparo, dietro macigni. Il Generale ci precede : granatieri e fanti avanzano sotto un nembo di piombo e sono sotto alle barricate. Cadono i soldati giunti per primi; altri li rimpiazzano; cadono anche questi e altri sopraggiungono. La strada è ingombra di cadaveri”. I francesi insomma cominciarono a penetrare e, al rullare dei tamburi, si sparsero per ogni dove: la lotta divenne disperata. Infatti il Turpin conferma : “ Solo dopo una furiosa lotta durata un giorno le truppe francesi riescono a sfondare le barricate, poste all’ingresso del Borgo, grazie ad un impetuoso urto d’assalto”.
In città la resistenza era accanita e violenta; i cecchini erano stati piazzati con cura in ogni abitazione, sicchè nel rione inferiore gli invasori vennero costretti a combattere all’arma bianca , casa per casa, sotto il fuoco incrociato, con l’obiettivo immediato di stanare innanzitutto i franchi tiratori. Ma, evidentemente, più che problematica, la presa della città era impossibile : infatti il combattimento durò per tutta la notte. Come sappiamo il Borgo era racchiuso nelle mura e le stradine interne erano assai strette ed occupate da tutto il materiale possibile.
Contemporaneamente, però, le altre truppe francesi, guidate di persona dal Massena, stavano cercando di prendere a tenaglia la parte media dell’abitato superiore, penetrandolo in due punti, ossia dai campi posti nei pressi del Convento …….
……. Scrive il Viceconti, il cui padre assistè alla battaglia, che “ da una casa della strada che pigliò il nome dall’Ammiraglio Ruggiero alcuni cittadini spinsero un’ala del vecchio muro che, precipitando dall’alto e sgretolandosi, tanti uccise di soldati quante pietre aveva”. Si riuscì così a ritardare l’ingresso in città delle truppe francesi, che erano pronte all’accerchiamento finale.
La leggenda vuole che, proprio in questa occasione, venne fatta esplodere una miccia da un capitano borbonico che vi perse la vita, ma che riuscì comunque a rallentare l’avanzata francese, permettendo così alle retrovie di riorganizzarsi. Intanto, nel quartiere Castello, una donna, Angiola Perrone, riuscita a salire sulla torre della chiesa di San Nicola, suonava a distesa la più grossa campana per comunicare il grave pericolo : i francesi erano entrati anche nel rione Superiore!
Probabilmente era questa l’occasione che il Massena aspettava per piegare la resistenza con il mezzo più immediato e violento : l’incendio. Montigny racconta : “ A difesa, contro la baionetta francese, si ricorse ad ogni mezzo da parte degli insorti : ove mancò il fucile supplirono la scure, le pietre e i fiotti di acqua bollente. Ma la baionetta ovviamente fa il suo mestiere : né grazia né pietà”.
A tale proposito, ha scritto il duca di Lauria Pietro Ulloa, figlio del feudatario Giovan Battista e di Elena O’Raredon : “ Con gran coraggio traevano tutti, uomini e donne, alla difesa : tanto che i francesi – maggiormente irritati dalla resistenza – ardevano la città”. I cosiddetti Volteggiatori, un corpo scelto di Dragoni, erano riusciti a penetrare per primi in Lauria inferiore. Si trattava di soldati mercenari corsi, di lingua e cultura italiana, ma particolarmente efferati contro gli italiani; il loro compito era quello di ripulire le strade per permettere il passaggio dei corpi militari a cavallo. Certamente anche loro, entrati tra i primi, dovettero subire pesanti perdite. Infatti, dopo la resa, essi saranno i più spietati e violenti.
Montigny ne descrive l’ingresso in città : “ Venne così sciabolato, sfondato e schiacciato tutto ciò che per la lunga strada di Lauria va dal ponte in diritta linea alle Calabrie. Però, allo sbocco di tale strada, che conduce a Castrovillari, trovammo un’altra barricata : anche qui una grandine di palle vomita da tutte le finestre”.
Poi soggiunge : “Ah Lauria, moderna Sagunto ! La città di basso è sperperata di ferro e di fuoco”………
……. Furono poi incendiate le prime case e, insieme ad esse le due chiese madri di S. Nicola e di S. Giacomo; fu completamente devastato e distrutto,purtroppo, anche il Monastero di S. Berardino, i cui frati vennero trucidati senza pietà.
Viceconti : “ E i soldati, entrati nelle case, vi consumarono atti della più inaudita brutalità : vennero uccisi nei loro letti gli infermi e gli anziani, e nessun pietoso sentimento l’età o il sesso valsero a ispirare. Colla punta di una baionetta fu strappato alle braccia della madre un bambino, Luigi Alagia, per essere lanciato in una macchia di rovi. Scovatasi una donna che si era rifugiata sotto un ponte in compagnia del suo giovane figlio, Baldassarre Mazzilli, a costui fu spezzato il cranio con un colpo di archibugio e la sventurata madre ebbe a raccoglierne in grembo il cervello. Dire di tutti i fatti di sangue e di barbarie non sarebbe possibile …”. Ancora Ulloa : “ Tra i gridi disperati dei combattenti penetravano i francesi nelle case, facendo macello di quanti stavano o fuggivano. In particolare i soldati corsi, ferocissimi, si spargevano dappertutto, e rapivano quanto era dato rapire, insaccavano oggetti di valore, martoriavano le donne e scelleratamente anche i cadaveri”. …….
Editoriale il giglio Via Crispi, 36/A- 80121 Napoli – Tel- 081-666440
22 ott
Francesco Pappalardo
PREMESSA
La nazione italiana esiste da quasi un millennio come unità culturale e linguistica, pur nella diversità delle sue componenti, essendosi forgiata nel corso di ricche e tormentate vicende storiche, che hanno prodotto la molteplicità ma anche l’amalgama : infatti, la varietà dei quadri ambientali della penisola, l’ampiezza degli apporti esterni, il policentrismo urbano e regionale, che hanno fatto dell’Italia un insieme di esperienze e di tradizioni forse senza eguali nel mondo, affondano le radici in un terreno comune, cioè nel formidabile fattore unificante costituito dall’eredità latina e dal retaggio del cristianesimo, di cui l’Italia è la sede storica.
La civiltà italiana, fiorita su un coacervo di realtà differenziate, ha trovato, dunque, il suo collante, l’elemento di raccordo e di comunicazione culturale fra le diverse componenti, nel sentimento religioso, caratterizzato soprattutto dall’ortodossia e dalla fedeltà alla Cattedra di Pietro.
L’Italia, luogo d’incontro fra romanità, grecità e cristianesimo, è stata, grazie all’esperienza benedettina, “ […] quasi un laboratorio dello spirito europeo” – come si è espresso Papa Giovanni Paolo II, il 15 ottobre 1994 -, e nella cultura della nazione italiana si è manifestato in vari modi il genio del cristianesimo. “ Il popolo italiano – scrive il politologo Giovanni cantoni -, la cui identità religiosa, quindi eminentemente culturale, è stata costituita dalla Chiesa, erede di istituzioni romane e convertitrice dei barbari, nei secoli dell’Alto Medioevo, [raggiunge] la propria maturazione nazionale spontanea – cioè non promossa da un potere temporale – all’apogeo del Medioevo “.
Eredi dell’universalismo romano e cristiano, e nello stesso tempo consapevoli della ricchezza della loro storia sociale e politica, gli italiani oscilleranno sempre fra l’apertura all’universale e l’attenzione al particolare, fra il senso dell’appartenenza nazionale e l’attaccamento alla comunità locale, in una tensione inevitabile ma feconda, finchè vissuta con sereno equilibrio.
I grandi e i piccoli tasselli del mosaico italiano avranno sì una logica autonoma di sviluppo, caratterizzata da vicende che non vanno concepite semplicemente come un lungo prologo a un’inevitabile unità politica, ma daranno anche vita a una comunanza di cultura e di civiltà che trascendeva i singoli Stati.
Il rifiuto di questa eredità caratterizza, invece, l’operato dei ceti intellettuali e dirigenti postunitari, che hanno pensato e tentato di dare all’Italia una nuova personalità in opposizione alla tradizione cattolica, che ha vivificato e modellato nel corso dei secoli i costumi, la mentalità e il comportamento degli abitanti della penisola.
Il politologo Ernesto Galli Della Loggia, nel suo breve ma denso saggio su L’identità italiana, descrive il “carattere immediatamente ideologico dello Stato ( a causa della sua origine da una rivoluzione/guerra civile ) “ e individua nelle modalità dell’unificazione del 1861 la causa principale della frattura fra l’antichissima identità “italiana” e la moderna identità “nazionale”, che oltrepassa di poco il secolo ed è percepita tuttora come fragile.
Alla base della debolezza di questa nuova identità e della fragilità storica dello Stato italiano, “calato dall’alto”, ci sono appunto la scarsa legittimazione popolare della costruzione unitaria, “risalente alle sue origini risorgimentali”, e l’opera di quello che Massimo Introvigne, sociologo delle religioni, chiama “partito anti-italiano. Per questo partito “fatta l’Italia” non si trattava soltanto di “fare gli italiani”; si trattava piuttosto di fare l’Italia contro gli italiani, o di disfare il tradizionale ethos italiano radicato nel cattolicesimo”.
Contro questo tentativo la prima forma di resistenza, anche armata, è quella dei legittimisti, cioè dei sostenitori delle dinastie spodestate dai Savoia. Il legittimismo, nel Grande Dizionario della Lingua Italiana, è definito come “corrente di pensiero e atteggiamento politico di coloro che nel secolo XIX, in contrasto con le posizioni laiche e democratiche della rivoluzione francese e del liberalismo ottocentesco e sulla base di rigide posizioni tradizionaliste e antilluministiche, sostenevano il principio di legittimità”, che è “giustificazione etico-giuridica del potere politico e, in genere, dell’ordinamento politico sociale di una nuova comunità, in quanto fondato su determinati principi e valori di natura etico-politica o etico-religiosa, riconosciuti come fondamentali della società interessata.
In contrapposizione al legittimismo e al lealismo – “ Atteggiamento (per lo più di ispirazione conservatrice) di fedeltà al sovrano o al potere politico costituito “ – fa la sua comparsa la nozione di Rivoluzione. Questo contrasto trova espressione felice in alcune affermazioni dell’uomo politico Albert conte de Mun, fatte alla Camera dei Deputati francese nel novembre 1878 : “ La Rivoluzione è una dottrina che pretende di fondare la società sulla volontà dell’uomo piuttosto che sulla volontà di Dio”; e ancora, in un discorso al Cercle Catholique, del 22 maggio 1875 : “Essa si manifesta attraverso un sistema sociale, politico ed economico, sbocciato nella mente dei philosophes, senza attenzione alla tradizione e caratterizzato dalla negazione di Dio sulla società pubblica. In questo consiste la Rivoluzione e in questo bisogna attaccarla”; infine, sempre alla Camera, nel novembre 1878 : “ Il resto non è niente, o, piuttosto, tutto deriva da questo, da questa rivolta orgogliosa dalla quale è uscito lo Stato moderno, lo Stato che ha preso il posto di tutto, che è diventato dio e che rifiutiamo di adorare. La contro-Rivoluzione è il principio contrario; è la dottrina che fa riposare la società sulla legge cristiana”.
In occasione della resistenza degli abitanti del Mezzogiorno, dal 1860 al 1870, il lealismo sentimentale – cioè l’affezione alla famiglia regnante – di cui un popolo dette ampia prova nelle difficoltà, rivela chiaramente che i sudditi giudicavano i loro governanti come “meritevoli di lealtà”, nonostante il deterioramento assolutistico della monarchia, e che dunque il loro atteggiamento era fondato non solo su elementi soggettivi – appunto l’affetto -, ma anche su elementi oggettivi, cioè sulla fedeltà dei sovrani al patrimonio di valori civili e spirituali della nazione. Il loro sacrificio merita di essere ricordato, a oltre un secolo di distanza, proprio mentre la crisi degli Stati “nazionali”, senza attentare alla loro unità politica, consente di riscoprire le piccole patrie e, auspicabilmente, i valori sui quali esse sono state edificate nel corso dei secoli.
Edito da Tekna- Via della Meccanica 16 – 85100 Potenza -
22 ott
Giuseppe Catenacci e Roberto Maria Selvaggi
LA NUNZIATELLA E L’EPOPEA DI GAETA DEL 1860 – 1861
Il 21 aprile del 1855 un convoglio speciale delle Regie ferrovie borboniche entrava, tra le acclamazioni del numeroso pubblico accorso a festeggiare l’avvenimento, nella stazione di Maddaloni.
Il convoglio trasportava gli allievi, gli ufficiali ed i docenti del glorioso Real Collegio Militare della Nunziatella che re Ferdinando II di Borbone aveva decretato fosse trasferito nella cittadella ducale di Maddaloni, già feudo dei Carafa, per poter così seguire più da vicino – essendosi egli trasferito nella Reggia di Caserta – l’istruzione di quelli che sarebbero stati i futuri ufficiali dei Corpi speciali dell’esercito.
Dopo i moti del 188 che videro non pochi ufficiali, insegnanti e cadetti del Real Collegio Militare tra i protagonisti di quelle giornate che a buona ragione vengono considerate il vero inizio del “ Risorgimento “, Ferdinando II intuì immediatamente i pericoli ai quali era esposta la sua Accademia e dopo aver decretato l’espulsione degli alunni Francesco Pesatane e Luigi Pessina e dei professori Francesco De Sanctis, Fedele Amante, Filippo Cassola ed Enrico Alvino maturò la determinazione di allontanare la stessa Nunziatella dallo storico sito di Pizzofalcone e quindi da Napoli.
Il trasferimento non riuscì gradito praticamente a nessuno per cui non appena morto Ferdinando II, il figlio Francesco II fu costretto a piegarsi alla richiesta avanzata nel giugno 1859 del potentissimo Generale Carlo Filangieri che gli chiese di disporre il rientro del Real Collegio Militare a Napoli nel rosso maniero di Pizzofalcone.
Il 7 novembre successivo il Real Collegio Militare rientrava così nell’edificio della Nunziatella a Pizzofalcone.
Gli avvenimenti che nei primi mesi del 1860 contrassegnarono la vita del Regno, scossa da forti fermenti liberali culminati nello sbarco di Garibaldi a Marsala il 18 maggio 1860, non propiziarono di certo il ritorno alla vita normale della Nunziatella dove l’arrivo di 31 nuovi allievi aggiunse confusione a confusione.
Non dissimile la situazione a Napoli dove, dopo il tentativo di formare un governo forte con a capo Pietro Ulloa, antico allievo della Nunziatella, Francesco II si determinò, il 6 settembre 1860, a lasciare la capitale ed a riparare a Gaeta ………….
Edito da Associazione Nazionale ex Allievi Nunziatella- Napoli -
22 ott
Michele Topa
Quando, un anno fa, ci fu chiesto di compilare per i lettori de “ Il Mattino” una rievocazione degli ultimi anni del Regno delle Due Sicilie, esitammo prima di affrontare quella fatica, ed esitammo perché le lunghe letture, fatte sin dall’ adolescenza su Ferdinando II e l’infelice figlio Francesco e intorno agli avvenimenti del ’59 – ’60, pur non intaccando la nostra radicata convinzione unitaria, ci avevano portato a formulare giudizi e a trarre conclusione che non erano proprio quelli così generosamente diffusi negli scritti apologetici dei Savoia e nelle liriche narrazioni delle imprese garibaldine, in quelle pseudo-storie, insomma, nelle quali la retorica tiene il posto dell’indagine attenta e serena.
Sapevamo che, discostandosi da certi abituali schemi, ignorando certe tradizionali visioni oleografiche, ispirandoci quanto più possibile al principio dell’obiettività e rivelando verità più che note agli studiosi ma, purtroppo, non ancora conosciute dalla gran maggioranza degli Italiani, avremmo rischiato di attirarci la definizione – oggi, invero, risibile – di “ borbonici “; tuttavia ci mettemmo al lavoro, e, fin dalle prime puntate della nostra rievocazione, poi via via sempre più vivo e caloroso, avvertimmo il consenso del pubblico; consenso che, manifestatosi attraverso centinaia di lettere, tuttora ci conforta e ci spinge a cedere alle insistenze del nostro amico editore, Fausto Fiorentino, e a raccogliere in volume quella serie di articoli. Ora teniamo a dire, anzitutto, che questo libro è un atto di amore e di fede verso la nostra terra e la nostra gente; un atto che, ci auguriamo, valga a spingere gli specialisti della storia – o dell’” alta storia “, come diceva Croce – a riesaminare i turbinosi eventi di cento anni fa e a riproporli all’opinione pubblica nazionale, in particolar modo a giovani, sotto la luce di una critica più severa e di una più obiettiva valutazione. Scrive, appunto Croce: “ Lo spirito animatore della cosiddetta “ Storia del Risorgimento “ è tutt’al più poetico, ma non certamente storico; e, a dissolverla, basterebbe nient’altro che introdurvi lo spirito storico, perché in questo caso essa si fonderebbe nella storia politica del secolo decimonono, nella quale il moto italiano prenderebbe il suo significato proprio, spogliandosi dei colori onde il sentimento e l’immaginazione lo hanno finora rivestito. E si renderebbe giustizia, come in storia è doveroso fare, alle forze di resistenza che al moto liberale opponevano la vecchia Italia e la vecchia Europa, o, nella fraseologia dei politicanti, l’oscurantismo e la reazione. Giustizia : il che non significa recriminazione o rimpianto del passato, che è morto, ma semplicemente intelligenza di quel passato e, mercè di essa, intelligenza del presente e dei problemi del presente.
Ecco i principii che dovrebbero ispirare chi scrive sui fatti risorgimentali; ecco i principii cui dovrebbero essere informati i testi di storia delle nostre scuole. Il passato di Napoli e del Mezzogiorno è raccontato, purtroppo, da cento anni – quasi vi fosse ogni giorno un Borbone da abbattere – secondo i più stolidi schermi della più stolida propaganda, dando ancora credito a certe calunniose favole che, se potettero essere utile a scalzare una dinastia divenuta di ostacolo al moto unitario, oggi certamente non ci aiutano a conoscere la verità.
E’ nostro fermo convincimento che la secolare e, per taluni aspetti, ingiusta campagna antiborbonica abbia finito col trasformarsi in campagna antimeridionalistica e finito col nuocere al buon nome e alla dignità dei Napoletani in specie, dei Meridionali in genere; il che è come dire di oltre un terzo della popolazione italiana. E’ nostro altrettanto fermo convincimento che non sarà mai detto e ripetuto abbastanza , con chiarezza e con forza, quanto sia costata al Mezzogiorno l’unità d’Italia. Tutto ha sacrificato il Sud – e ne è fierissimo – a quel processo unitario : indipendenza, ricchezze, industrie, credito e persino la coerenza morale di certi uomini, salvando soltanto l’onore dei suoi soldati; e ha ricevuto, purtroppo, e ancora riceve le più basse, sfrontate menzogne e le più odiose calunnie.
Noi siamo convinti infine, e perciò affidiamo alla dignità di un libro queste nostre parole, che una rinascita del Mezzogiorno non possa cominciare che nella coscienza delle genti meridionali, restituendo ad essa tutti quei motivi di orgoglio che può trovare in un passato non sempre privo di grandezza; restituendo ad essa fiducia, il senso delle sue capacità e del suo prestigio ; capacità e prestigio che permisero di edificare, dal Tronto al Capo Passero, sulle strutture di una monarchia antichissima, il più vasto, il più ricco, il più potente Stato della Penisola.
Edito da Fratelli Fiorentino di Fausto Fiorentino- Editrice per la Scienza e per l aTecnica -80135 Napoli, Via Avvocata, 10- Tel. 081-213592
22 ott
Rivoluzione&Controrivoluzione in Italia (1792-1815)
Massimo Viglione
Le rivolte popolari che dal 1792 al 1815 divamparono in Italia contro gli invasori francesi e i locali fautori della “grande Rivoluzione” costituiscono alcune delle pagine più drammatiche della storia nazionale, pressochè ignote alla coscienza etico-politica del Paese; una singolare anomalia.
Infatti le “insorgenze” coinvolsero centinaia di migliaia di persone nella difesa della propria cultura e tradizione, definendo un transito d’epoca, uno scontro di civiltà, che vide Papi esiliati o arrestati, chiese e conventi violati, depredati musei e monti di Pietà, rovesciati gli antichi assetti politico-istituzionali della Penisola, eccidi e stragi nel segno dell’odio ideologico dall’una e dall’altra parte in lotta.
Su tutto ciò accenni sommessi, reticenze, letture distorte degli avvenimenti.
La conoscenza almeno generale della storia delle “insorgenze” è indispensabile per andare allel radici dell’Italia contemporanea, agli albori di quel “risorgimento” segnato dalla violenza e dall’inganno di minoranze interpreti dello “spirito del Mondo”.
Queso libro non rappresenta semplicemente un solido punto di riferimento per orientarsi nella complessa trama di fatti che nel sanfedismo meridionale raggiunsero la loro espressione più tragica, ma anche, e soprattutto, consente di penetrare le problematiche fondamentali dell’intero fenomeno dell’”insorgenza”, sia ideali e politiche sia storiografiche.
Edizioni Ares, Via A. Stradivari,7-20131 Milano-www.ares.mi.it
22 ott
Gigio Zanon
Si dice cha la Storia la scrivano i vincitori, e senz’altro è così da quello che noi possiamo dedurre leggendo i libri scolastici o quelli appena più specialistici ma ancora di “regime” e, peggio, assistendo ai programmi che ci vengono propinati da “mamma TV” e
dai media in generale.
Tuttavia, anche se la maggioranza degli esseri umani dà per veri il verbo scritto sui libri dei “pennivendoli” e ciò che mostrano le fiction televisive, vi è un discreto numero di persone (oggi sempre più crescente) che tiene in vita un minimo di critica o anche di vera e propria opposizione culturale denunciando le bugie vendute per verità.
D’altro canto la manipolazione delle informazioni si può dire che sia sempre stata la base comune di comportamento delle classi dominanti che da sempre si succedono al potere e che nella vana speranza di meglio puntellarlo e renderlo così più resistente agli urti delle verifiche storiche s’ingegnano quotidianamente nell’esercizio del plagio;
Così le verità, spesso anche le più oggettive, si intrigano sempre con altre parzialmente mistificate e anche con vere e proprie invenzioni di fatti mai accaduti, nel permanente tentativo di legittimare, e mantenere, il potere costituito e quindi giustificare il comportamento della classe dominante.
Accade però che le condizioni al contorno socio-economiche, meglio sarebbe dire del “mercato”, mutando celermente e costantemente in modo spesso imprevedibile fanno sempre cadere il castello di bugie ( Le opere dell’iniquità non sono mai eterne! – Francesco II dagli spalti di Gaeta 14/02/1861-) mettendo in luce alcune contraddizioni che via via diventando sempre più numerose, rendono definitivamente insostenibile l’impianto dottrinario della classe dominante fino alla perdita della sua CREDIBILITA’.
A questo punto una nuova classe si afferma demonizzando quella precedente, ripetendo esattamente il copione o al massimo apportandovi piccole variazioni nella speranza vana di essere enormemente migliore della precedente, e così nel tempo…
Naturalmente non tutte le classi dominanti si comportano allo stesso modo o dispongono di identico vero legittimo diritto/dovere di governo .legate come sono ad un giudizio soggettivo di difficilissima mediazione proprio perchè “umorale”, ovvero legato anche alle mode e alle circostanze.
E’ anche questo il motivo per cui lo studio critico, direi asettico, della Storia non è cosa facile poichè imporrebbe un’ analisi MECCANICISTICA degli eventi, spogliandoli dai sentimentalismi e dalle stucchevoli ideologie; ma proprio studiando solo le cause e gli effetti ci si può avvicinare di più alle cosiddette verità oggettive; ed è questo, appunto, l’arduo compito dei posteri.
Veniamo al dunque.
Se noi volessimo avvicinarci alla verità nel giudicare un personaggio storico, sia nel bene, sia nel male, dovremmo istruire un vero e proprio processo giudiziario con tanto di accusa, difesa, parte Civile e collegio giudicante.
Luigi Gigio Zanon, che non finirà mai di stupirci, insieme con un nutrito gruppo di magistrati, avvocati e storici hanno voluto processare Napoleone Bonaparte per i danni che egli causò alla Serenissima Repubblica di Venezia.
L’elemento scatenante dell’iniziativa fu la recente donazione di una statua del “Corso” al Comune di Venezia con relativa sua sistemazione in un pregevole e visitatissimo ambiente pubblico veneziano.
L’opposizione di Zanon e di buona parte degli ambienti culturali veneziani alla collocazione di tal simulacro fatale fu notevole fino a scatenare anche qualche attrito con l’ambasciata di Francia, paese che, nonostante le decine di milioni di morti che causò il sanguinario dittatore in tutt’Europa, ancora lo adora e lo riverisce e mal comprende l’astio veneziano ( e non solo veneziano) verso il prediletto.
Ciò che fa ancor più specie è che anche a Venezia le Autorità locali restarono sorde alle proteste accogliendo il dono e magnificando l’epoca napoleonica che invero portò la distruzione della Serenissima Repubblica Veneta.
Ora noi ci chiediamo come mai ancora oggi, a distanza di oltre duecento anni,la classe dominante sente la necessità di deificare il Bonaparte.
Che sia ancora al governo la stirpe della classe dominante del tempo?
Secondo noi la risposta è affermativa!
Il processo tenutosi con i santi crismi della legalità ha fatto emergere tutte le colpe dell’imputato oltre alle connivenze dell’Austria e di gran parte della massoneria italiana. Le testimonianze degli storici mostrano però ampie lacune sulle responsabilità della Gran Bretagna che, a nostro avviso, diventano evidenti con lo scandaloso risultato del Congresso di Vienna che restaura tutti gli stati prerivoluzionari ad eccezione di Venezia (e di Genova); risultato che Albione accettò di buon grado o addirittura promosse per togliersi di torno, in un colpo solo, importanti, legittimi e autonomi rivali commerciali nel Mediterraneo e non solo.
Il sig. Napoleone Buonaparte, per la cronaca, è stato condannato dalla Corte per immensi furti di opere d’arte di inestimabile valore,incendi e gratuite
distruzioni di edifici religiosi, pubblici, privati e di vasta parte del patrimonio artistico veneziano, innumerevoli eccidii di innocenti e quindi per aver voluto e
provocato la cessazione della legittima Repubblica Veneziana all’epoca neutrale nel conflitto Franco-Austriaco.
A Gigio Zanon va il nostro più vivo apprezzamento per questo suo lavoro che speriamo possa trovare la massima divulgazione in tutte le scuole d’Italia e anche il meritevole accoglimento cinematografico o televisivo.
Domenico Iannantuoni
Filippi Editore Venezia
22 ott
(Ricordati, o Signore)
Le verità negate sulla tragedia del SUD fra Borbone, Savoia e briganti.
( Dora Liguori )
E’ difficile descrivere questo libro come “romanzo storico” oppure come “saggio di storia, vera, romanzata”, certo è che una volta iniziata la lettura se ne viene catturati.
Sulle prime battute le fasi descrittive degli ambienti, dei protagonisti e delle situazioni fanno pensare ad una narrazione classica, qua e là un po’ noiosa, in taluni casi anche troppo infiorata e soprattutto fin troppo precisa e ripetitiva…poi, proprio quando si è quasi deciso di deporre il libro, ecco un nuovo evento, un cambio di scena, un richiamo storico che ti fa riflettere o ti solleva nuova curiosità e così, in questo susseguirsi di colpi di scena, la lettura diventa sempre più piacevole e interessante.
La trama che all’inizio sembra semplice o addirittura scontata si complica pagina dopo pagina rendendo il romanzo sempre più vero, mentre le figure dei protagonisti e del microcosmo che li circonda assume un rilievo quasi fotografico.
Quando poi la storia d’amore tra Argenzia ed Aldrigo si “intriga” con i reali eventi storici della conquista delle Due Sicilie,
ecco che il ritmo narrativo progressivamente si trasforma e si evolve generando alternativamente suspence, curiosità, rabbia e passione per i protagonisti principali nei quali tutti, credo, ad un certo punto desidererebbero immedesimarsi.
Dora Liguori, con questo romanzo d’amore, riesce a trasmettere una quantità esorbitante di vere informazioni storiche senza che il lettore se ne avveda, contestualizzandole nei momenti d’amore, di passione, di sofferenza, di paura o di vera e propria angoscia, ma anche nei momenti di speranza che, verso la fine della narrazione, prendono via via il sopravvento riportando lentamente il lettore al presente ma con la consapevolezza tangibile di quella che fu la drammatica “conquista del SUD”.
Domenico Iannantuoni
Ricordati, o Signore, di quel genocidio operato al SUD dal 1860 al 1863 ad opera dei Savoia per costruire, con il sangue della
popolazione inerme, il nuovo Regno d’Italia.
Il libro si basa su una rigorosa ricostruzione storica, integrata da fatti tramandati oralmente, dell’avventura vissuta, suo malgrado, da un capitano spagnolo (specie di agente segreto) coinvolto nelle tragiche vicende del Meridione d’Italia per ordine di
Isabella di Borbone, regina di Spagna.
Infatti, il capitano Aldrigo Seguento, marchese di Valleloid, viene inviato in Italia, per scopi di “copertura politica”, a sostegno della spedizione capeggiata dal generale, anch’esso spagnolo, Josè Borjes, per il ripristino dei Borbone nel Regno delle Due Sicilie.
Il capitano, travestito da prete, sarà testimone e parteciperà anche direttamente alle battaglie precedenti la mancata conquista di
Potenza, supportato da una giovane nobile, coraggiosa ma disturbata nella psiche. Egli vivrà, soffrendola da vicino, l’immane tragedia delle popolazioni del salernitano e della Lucania, strette fra l’invasione dell’esercito piemontese e la reazione dei filo-borbonici capeggiata, oltre che dal Borjes, dal feroce capo-brigante Carmine Crocco Donatelli.
Mai raccontato nei particolari della storia ufficiale, questo è il resoconto, realistico nel suo squallore, della conquista di un regno da parte dei Savoia, mossi non da principi idealistici o per l’unità di un popolo che poco aveva in comune per essere unito, ma dall’esigenza di mettere mano alle ricche riserve auree del Regno delle Due Sicilie, riserve indispensabili a salvare dalla
bancarotta l’indebitato stato sabaudo.
Dopo il primo sconvolgimento prodotto dalle imprese di Garibaldi che, nella pratica, consegnava il Sud ai Savoia, nasce una
reazione, all’inizio confusa, ad opera di alcuni nobili (pochi), del clero e soprattutto dello strato più povero del popolo che
preferiva i Borbone agli “stranieri” piemontesi: la cosiddetta “rivolta delle pezze ‘n culo”. La violenta rivolta, divampata in tutte le province del già regno borbonico, fu condotta da povera gente che, quasi del tutto disarmata rispetto all’organizzato esercito piemontese, riuscì ugualmente ad impegnare quest’utimo in violente battaglie dando…parecchio filo da torcere.
I Savoia, infine, ebbero ragione del SUD per un coacervo di situazioni ancora oggi non del tutto chiare e, soprattutto, ebbero
ragione poichè soffocarono, spietatamente, la reazione in un bagno di sangue. E ciò potè avvenire attraverso esecuzioni sommarie degli abitanti di interi paesi nonchè fucilazioni di massa, senza alcun regolare processo (legge Pica), di migliaia di uomini colpevoli solo di essere meridionali.
Le fosse comuni ad opera del governatore. generale Cialdini, non avranno nulla da invidiare all’orrore di altri più recenti stermini. L’unica differenza consisterà nel fatto che, mentre queste ultime povere vittime hanno avuto, almeno, la pietà della Storia, alle vittime dei Savoia è stata negata anche la conoscenza storica del loro olocausto.
Il libro, nel ripercorrere l’infelice missione dell’agente segreto spagnolo, racconta il modo e i fatti che determinarono la mancata vittoria dell’esercito reazionario, fatti avvenuti tra Padula e Potenza.
La sconfitta non consentirà mai più, anche nell’arco dei decenni successivi, al SUD di riprendersi ed ai sopravvissuti lascerà
solo un’amara scelta: l’emigrazione.
Dora Liguori
Edito A.C.M. Matera – Roma – Via Cupa, 14 – 00162 Roma