FERDINANDO II E LA FESTA DI PIEDIGROTTA
di Francesco Maurizio Di
Giovine
Il
titolo del nostro studio è fortemente riduttivo, altrettanto però non può
dirsi del suo sviluppo. Non si può comprendere, infatti, il ruolo di
Ferdinando II nella festa di Piedigrotta se non si inquadra la problematica
nell'ambito di quell'edificio storico che fu la Nazione Napoletana, a far data
dalle sue origini. Ferdinando II fu il prodotto dei sovrani e delle dinastie
che regnarono su Napoli. Egli incarnò la tradizione e difese scrupolosamente
il retaggio ricevuto dall'eredità storica. Se non si evidenziano questi fatti
non si comprende la peculiarità del regno napoletano. Di qui l'esigenza di
partire da antiche ragioni storiche per comprendere ogni tempo presente.
1
Introduzione
La storia del Mezzogiorno d'Italia vanta il primato di una formazione politica, sociale e morale che si può far risalire all'era precristiana. Nell'anno 90 a.C. tutti i popoli dell'Italia meridionale si associarono in una confederazione che chiamarono Italia, con capitale Corfinio, antica città del Sannio, per combattere Roma, la quale rifiutava loro la cittadinanza e quindi la partecipazione alle cariche di governo. La guerra durò dal 90 all'88: gli italici furono sconfitti ma Roma concesse egualmente a tutti loro la cittadinanza.1
Nei
secoli successivi si andò formando il quadro istituzionale come è giunto a
noi fino alla metà del XIX secolo. Il ducato longobardo di Benevento, che
salvò la Puglia e parte della Calabria dall'egemonia bizantina, fu
all'origine del nuovo assetto, anche se il perfezionamento del processo
formativo dello Stato meridionale giunse con Ruggero I il Normanno che nel
1130 divenne Sovrano.
Con
Ruggero iniziò a vivere una monarchia vigorosa e civile. Egli costruì quel
monumento legislativo che furono le Constitutiones Regni Siculi dalle quali fu
ravvivato il principio romano dell'autorità del Principe come espressione
dell'unità dello Stato. Unità ravvivata dalle idee cristiane che pregnarono
tutta la successiva legislazione. Ne fu testimone la grande influenza che il
trattato De Regimine Principis ebbe sui primi giureconsulti napoletani i quali
considerarono l'autorità e le regalie conferite al Principe non per altro che
per il bene del popolo.2
Pertanto la formazione civile e religiosa dell'Italia meridionale fu determinata dall'azione regale che recepì negli ordinamenti dello Stato la parola mitigatice del Vangelo attraverso norme di diritto canonico. Conseguentemente la storia civile del Sud divenne storia religiosa del popolo napoletano. Storia in cui avrebbe sempre trovato particolare spazio una grande devozione mariana. Le vicende che ruotano attorno al Santuario della Madonna di Piedigrotta, sin dalla sua origine, costituiscono la testimonianza dello strettissimo rapporto che è esistito, sino allo scorso secolo, tra la storia civile e la storia religiosa della nazione napoletana.
In
questa sede vogliamo parlare della devozione, delle sue vicende, dell'apoteosi
che conobbe sotto il regno di Ferdinando II di Borbone per dimostrare che: a)
nelle vicende storiche del popolo napoletano vi fu per secoli una continuità
sostanziale frutto di una identità nazionale consolidata, pur sotto dinastie
differenti; b) il processo risorgimentale colpì e cancellò la fusione della
società civile con la società religiosa.
2.
Le origini della chiesa e della devozione
Sin
dall'età romana a tre miglia fuori Napoli, sotto la verdeggiante collina di
Posillipo, esisteva la località già nota con il nome di piè di grotta per
un basso passaggio, lungo circa 700 metri, che univa la spiaggia di Mergellina
alla zona di Pozzuoli.3
Qui
sorgeva una cappella dedicata a S. Maria dellItria ed era luogo di diffusa
devozione dei locali marinai verso la Madonna che schiaccia il serpente. La
Chiesa, tuttavia, dovette subire delle trasformazioni, come si apprende dalle
prime notizie documentate sull'esistenza di una chiesa organizzata a
Piedigrotta che risalgono agli inizi del XIII secolo. Si legge infatti che
Anselmo, arcivescovo di Napoli, nel 1207, trasferendo le reliquie dei santi
Giuliana e Massimo da Cuma a Napoli le depositò per una notte nella Chiesa di
S. Maria di Piedigrotta.4 Provando con ciò l'esistenza della Chiesa
anteriormente a quella data, con un clero residente. Tuttavia il santuario
vero e proprio, come a noi è oggi giunto, fu costruito in seguito
all'apparizione in sogno della Vergine Maria a tre distinte persone del luogo
la notte dell'8 settembre 1353, giorno tradizionalmente consacrato alla
nascita della Madonna. La prima persona che ricevette la visione fu un monaco
di nome Benedetto che abitava alla porta di Chiaia. La seconda persona fu un
eremita di nome Pietro, il quale viveva in orazione perenne in una cappelletta
sopra l'antro di Piedigrotta. La terza persona fu la monaca Maria di Durazzo,
del monastero all'epoca situato nel pressi di Castel dell'Ovo. Alle tre pie
persone la Vergine Maria rivelò il luogo in cui era seppellita una sua
immagine in precedenza situata nella cappella andata sotterrata a causa delle
continue pioggie.5 La Vergine chiese che in quel luogo venisse costruita una
chiesa in suo onore. Sparsasi la notizia dei simultanei sogni, il popolo
napoletano offrì tante elemosine che si pensò di poter costruire prontamente
il santuario. Scavando le fondamenta fu effettivamente ritrovata una statua
lignea della gran madre di Dio nell'atto di sedere. Ancora oggi essa è
ritenuta una delle più antiche immagini della Madonna con il bambino venerate
nella nostra Capitale, potendola ammirare sull'altare del Santuario.6 Ai pochi
devoti dei luogo si unirono tutti gli abitanti della Capitale e nel giro di
poco tempo il santuario divenne celebre in tutto il Regno, al punto che già
nel 1358 il Petrarca, che si trovava a Napoli, egistra una grande affluenza
giornaliera di popolo e marinai.
3.
La festa nei secoli
Per
secoli Piedigrotta è stata considerata la festa classica del popolo
napoletano, la più caratteristica tra i suoi usi, la più felice tra le sue
espressioni. Radicata nel cuore dei napoletani essa ha ricevuto varie
definizioni, tutte altamente significative. Festa d'amore",
"letizia di tutto un popolo, sorriso di Dio". Espressioni
figurate dei molteplici aspetti che essa assumeva: da quello campestre a
quello sacro, da quello militare a quello civile.
Piedigrotta nasce come festa di popolo nel Seicento, anche se il massimo splendore lo raggiungerà in epoca successive con la monarchia nazionale di Casa Borbone. Nel Seicento nasce la festa e con essa la pia pratica dei nove sabati di S. Maria di Piedigrotta. In questo periodo una gran folla accorreva da lontano per onorare la Vergine. Molti giungevano a piedi scalzi e, scrive il Capaccio, ritornavano dal tempio verso le proprie case ancora a piedi continuando a cantare le lodi a Mafia. Nei primi tempi la festa si celebrò nella grotta, alla luce delle fiaccole. In quel luogo si cantava, si mangiava e si ballava per tutta la notte. La gente che si recava a Piedigrotta quando si fermava danzava la tarantella trasferendo la gioia del viaggio agli occasionali spettatori e molti si lasciavano trascinare in questo viaggio di gioia e di devozione. Il sacro si mescolava al profano in una completa trasfigurazione costituita dalla Festa. Devote donne giungevano dall'isola di Procida su feluche e trabiccoli, altre ne venivano dall'isola di Ischia e da quella di Capri. Giungevano le donne di Sorrento nei loro caratteristici costumi. Ad esse si accodavano le popolazioni montanare dell'appennino irpino e dauno.
Prima
che l'autunno iniziasse ad offrire i suoi frutti, le popolazioni napoletane si
recavano a Piedigrotta, alla festa del popolo e del Re, alla sagra delle
canzoni, per assistere alla spettacolarità delle luminarie, dei fuochi, per
cantare un inno di gioia.
Gaetano
Nobile, descrivendo la città di Napoli nel momento in cui la Napoletanità
iniziava a scomparire, sostenne che la festa della Vergine di Piedigrotta era
la prima delle feste popolari di Napoli.7 Secondo il Nobile la popolarità
della festa scaturiva dalla particolare devozione alla Vergine miracolosa di
donne desiderose di accasarsi ed avere figli; di madri che attendevano il
ritorno a casa dei loro figli partiti per la pesca in mare; degli stessi
marinai che ringraziavano la Madonna per gli scampati pericoli; di tutti
coloro che avevano un voto da sciogliere. La festa di Piedigrotta diventava,
perciò, il motivo ricorrente per ricordare le ansie provate nell'attesa che
la grazia venisse esaudita e quindi per esprimere un ringraziamento
liberatorio. Ma Piedigrotta divenne anche altro. Nel corso dei secoli essa
svolse la funzione di ricordare e di ricapitolare la vita sociale del popolo
napoletano. Nel giorno della Festa il popolo manifestava con orgoglio la sua
appartenenza ad una identità precisa: la Nazione Napoletana; in quel giorno
esaltava la sua resistenza alle fatiche del vivere quotidiano; in quel giorno
cancellava le tribolazioni sofferte nel cammino di un intero anno. Il popolo,
in quel giorno, rinnovava il legame con la Tradizione riesumando il ricordo
della sua origine, riesumando le costumanze degli antenati; riesumando
l'orgoglio e la fierezza di appartenere a quella razza. Lenorme afflusso di
popolo, aumentato nel tempo, attraverso i secoli, ne è stata una lampante
riprova.
Uno
spettatore tedesco della prima metà dello scorso secolo, Karl August Mayer,
ha lasciato un libro di memorie del suo soggiorno a Napoli, parzialmente
tradotto in lingua italiana da Lidia Croce. A proposito di Piedigrotta egli
percepì l'intima essenza della festa attraverso la partecipazione del popolo.
L'autore restò stupito del movimento di gente che confluiva, sin dai giorni
immediatamente precedenti, verso la città. La Capitale si movimentava
all'improvviso di gente venuta da fuori. Gente chiassosa avanzava cantando con
indosso variopinti costumi. "Ma per quanto si sfoghino liberamente, egli
scriveva, non fanno cattivo uso della loro libertà, e non è necessario
nessun intervento della polizia".8 Unaltra cronaca dello stesso
periodo conferma il pensiero del tedesco Mayer. E' di Francesco Mastriani che
afferma: "Da tutti più remoti quartieri della Capitale e da tutti i
punti del Regno si conducono i fedeli a visitare il santuario di Piedigrotta;
non vi ha provincia remota che sia che non mandi il suo contingente, sicché,
molti giorni innanzi della festività, vedi arrivare in questa Capitale
immenso stuolo di ospiti novelli di ogni ceto, e massime degli uomini di
campagna, i quali abbandonano per poco i loro campestri lavori e con le loro
famigliuole si recano in Napoli a godere di quella festa civile, militare e
religiosa unica al mondo. E diciamo unica al mondo, perché in verità non
sappiamo di altra che riunisca tutti gli elementi sociali in una sì bella
manifestazione di ossequio alla Religione .... I padri han narrato a' loro
pargoletti figliuoli la bellezza, lo splendore, la solennità del dì otto
settembre, e i figliuoli sospiravano il momento di trovarsi spettatori della
più memorabile delle feste Napolitane. Per tal guisa nelle famiglie è caro
il ricordo, son vive le immagini che per tradizioni si tramandano di questa
giornata.9
Fu
in questo clima di allegria e gioia che nacque nel 1835 la Piedigrotta canora
e da essa presero il volo le più belle melodie della canzone napoletana, come
quella di don Raffaele Sacco, rapidamente diffusasi in tutto il regno, il cui
ritornello recitava: "io te voglio bene assai e tu nun pienze a mme!
".
4.
La devozione regale.
Piedigrotta
fu festa di popolo. Lo abbiamo già sottolineato. Per comprenderne l'essenza
occorre aggiungere che Piedigrotta fu, prima di tutto e sempre, per lo meno
sinché visse l'identità Napoletana, festa di Re con segni, costanti nel
tempo, di grande devozione che legarono il Santuario agli eventi significativi
del tempo. Per gli Angioini prima, i Durazzeschi successivamente e per gli
Aragonesi poi, Piedigrotta rappresentò il simbolo religioso della dinastia.
La visita regale più antica risale al regno di Giovanna I e Andrea
d'Ungheria. La regina Giovanna, nel 1343, fissò particolari sussidi per i
poveri che durante la festa di Piedigrotta fossero accorsi lungo la strada per
ammirare il suo regale consorte che si recava a cavallo ad omaggiare la
Madonna. La regina Margherita, moglie di Carlo III di Durazzo, venuta a sapere
che suo marito, contrariamente alle prime notizie, non era morto, si recò
scalza, di notte, con una torcia in mano, alla chiesa di Piedigrotta l'8
febbraio 1386, seguita dall'intero popolo di Napoli, per ringraziare la
Vergine Santissima. Re Alfonso d'Aragona sin dal 1452 iniziò, a sue spese, il
restauro della Chiesa e dei locali destinati ad accogliere i religiosi di
Piedigrotta. Il successore, Re Ferrante I, non fu da meno. Intervenne ogni
anno alla festa di settembre come aveva fatto quando era duca di Calabria e,
nel 1493, cedette la Chiesa restaurata ai Canonici Lateranensi, chiamati a
Piedigrotta dal suo regale genitore. Don Giovanni d'Austria, il giovane
fratello di Filippo II, che il Papa S. Pio V aveva nominato comandante della
flotta allestita dalle potenze cattoliche per combattere i turchi, ricevette
il bastone di comando mentre si trovava a Napoli e si recò in pellegrinaggio
a Piedigrotta per chiedere alla Vergine Maria la protezione nella difficile
guerra contro i turchi. Egli sconfisse la flotta islamica a Lepanto nel 1571 e
certamente alla sua vittoria contribuì, oltre al rosario di S. Pio V, come
ricorda un canto contro‑rivoluzionario, anche la protezione della
Vergine di Piedigrotta.
Gli
Angioini, i Durazzeschi, gli Aragonesi organizzarono spettacolari cavalcate
verso Santa Maria di Piedigrotta. I nobili del tempo ed il popolo tutto, per
spirito di emulazione ma anche per convincimento, seguirono sempre i cortei
regali e testimoniano l'esistenza., già da quell'epoca, di una festa di
Piedigrotta che aveva assunte le proporzioni di una vasta saga popolare.
In
questo contesto nasce lentamente unaltra peculiarità della festa. Le
visite regali, puntualmente ripetute ogni anno, anche nei cambi di dinastia,
resero tradizionale il fasto dei cortei, che assumevano una grande solennità
per l'apparato militare destinato a scortare i reali protagonisti del
pellegrinaggio. Così nacque la parata, della quale approfondiremo gli aspetti
generali.
Per
tutto il Seicento i Vicerè spagnoli intervennero puntualmente ogni anno alla
festa di Piedigrotta. Vi presero parte ufficialmente, con tutta la corte,
segno che dimostra il recepimento nell'azione pubblica della tradizione
precedente. Celebre fu la visita della regina di Spagna Maria d'Austria,
ospite a Napoli nel 1630. Ed anche nel breve periodo del viceregno austriaco
la tradizione non fu interrotta. Come nella scelta delle fonti
giurisprudenziali, così nella pratica religiosa, nonostante i cambi
dinastici, il popolo del regno di Napoli non conobbe fratture nelle
convinzioni a lui più care.
La
grande festa di Piedigrotta, tuttavia, doveva giungere al massimo splendore
con il primo re Borbone, Carlo, venuto dalle Spagne, per fondare una dinastia
divenuta a tutti gli effetti napoletana. La vittoria di Velletri contro i
tedeschi guidati dal principe Lobkowitz, consolidò il suo nuovo regno. L8
settembre, giorno in cui il nemico si era ritirato, fu proclamato dal Re
giorno di festa nazionale e, al tempo stesso, festa dell'esercito per cui la
parata divenne l'attrazione della solennità.10 G. Porcaro, attingendo alla
relazione di una Consulta di guerra e di Casa Reale illustra la Piedigrotta
del 1777, anno particolarmente felice per Napoli avendo segnata la nascita
dellerede di Ferdinando IV, Francesco I. A mezzanotte in punto dell'8
settembre il fuochista del Re aprì la gara pirotecnica con l'accensione di
una spettacolare ruota a forma di mulino a vento e cinque capiruota, cui
seguirono quattro girandole a bandiera, due mappamondi nel quali il fuoco
girava per dodici versi, una stella dell'altezza di 17 palmi con un tombolo
interno il cui fuoco girava dentro e fuori, sette fontanoni di folgori e per
ultimo una bomba che scoppiò ben due volte in aria con un fracasso ed una
luce che illuminò a giorno il golfo. Alle meraviglie prodotte dal fuochista
dei Re seguirono i pirabolisti appaltati che lanciarono all'assalto di quella
festosa notte le loro granate con una bravura unanimamente riconosciuta. Le
granate si schiudevano come ombrelli d'oro e da essi uscivano lampioncini
rossi, gialli, celesti argentei che discendevano piano, lentamente, come fili
di bambagia.11Ferdinando IV fu devoto alla Madonna di Piedigrotta come suo
padre, Carlo. Egli si recò annualmente alla Festa con la stessa berlina che
aveva accompagnato suo padre e fece qualcosa di più. Aprì la bellissima
villa Reale, riservata alla Corte, stabilendo che essa, ogni anno, fosse
aperta al popolo in occasione della festa di Piedigrotta affinché i
Napoletani potessero visitarla, trovandovi buona ospitalità i pellegrini che
giungevano con i loro carri da tutte le parti del regno12. Tra il 1818 ed il
1824 Ferdinando, divenuto in seguito al Congresso di Vienna, I, fece eseguire
dal Gigante degli affreschi alla volta della Chiesa. Altri lavori fece
eseguire suo figlio Francesco I e suo nipote Ferdinando II di cui fra poco
parleremo. Francesco II, ultimo sovrano napoletano. fece in tempo a recarsi
ufficialmente a Piedigrotta per la festa dell'8 settembre 1859, nella sua
nuova veste regale, nonostante il fresco lutto per la morte dell'Augusto
Genitore. Dopo di che non più re a Piedigrotta. L'Italia che nasceva usciva
dal solco della tradizione cattolica verso la quale tutti i sovrani napoletani
avevano manifestata profonda devozione e per Piedigrotta giunse il tempo del
tramonto.
5.
La parata militare
Una
coreografia "naturale" che rese celebre la festa di Piedigrotta fu
la parata militare la cui forma perfetta fu raggiunta con Ferdinando II.
Eliminata la parata Piedigrotta decadde. Essa era nata lentamente e non si può
stabilire con esattezza una data di origine. Ha pertanto ragione Franco
Mancini quando scrive: "non fu, comunque, una comparsa improvvisa ma il
frutto di una lenta evoluzione, le cui tappe vengono abbastanza puntualmente
scandite nelle cronache del tempo".13
Tappe
che possiamo provare ad indicare a sommariamente.
Il
primo significativo evento che determinò la nascita di qualcosa di molto
vicino alla parata fu l'assedio di Napoli del 1528. L'episodio, che si
inseriva nella guerra tra Carlo V e Francesco I, coincise con l'epidemia di
peste che decimò la città e che al tempo stesso indusse il generale francese
Odetto di Foix, conte di Lautrec, a trincerarsi sulla collina di Capodimonte
bersagliando con le artiglierie la città che temeva il ripetersi delle
atrocità accadute con il sacco di Roma. Il conte di Lautrec, colpito
dall'epidemia, morì il 15 agosto ed i napoletani, incoraggiati dall'episodio,
resistettero all'assedio. I francesi, perso il comandante, dovettero chiedere
una tregua. Era l8 settembre. Gli antichi cronisti, notando la coincidenza
della data, attribuirono all'intercessione di Maria la liberazione. I
difensori di Napoli si recarono in armi verso la Chiesa a ringraziare
solennemente la Vergine di Piedigrotta per lo scampato pericolo.
Il
Capaccio ricorda una tradizione seicentesca che venne successivamente a far
parte della parata. Ogni nave da guerra che entrava o usciva dal porto, nel
passare davanti a Mergellina, usava salutare Santa Maria con alcuni colpi di
cannone. Nel 1674 alcuni squadroni di cavalleria e fanteria fanno
l'apparizione ufficiale nella coreografia della festa. Essi compaiono per
accompagnare la carrozza del vicerè don Antonio Alvarez, marchese di Astorga.
Si comincia a parlare di una parata vicereale". Ne fa cenno il
Confuorto descrivendo la festa del 1688 che vede nuovamente la presenza di
squadroni di cavalleria e fanteria alla festa.14
Tuttavia
la perfezione fu raggiunta con Carlo di Borbone. Che cosa fu dunque la parata
nella storia di Piedigrotta? Il Porcaro ne ha parlato come di un capitolo
eminentemente folcloristico e pittorico. Riteniamo che essa fu qualcosa di più
dell'esteriorità coreografica richiamata dal Porcaro. A nostro modo di vedere
e pensare, la parata rappresentò la solennità dello Stato cattolico,
nell'atto di inchinarsi alla sua grande Regina, Maria Vergine. Per inciso
ricordiamo che nel Cinquecento tutti gli stati cattolici nella bandiera
militare da guerra avevano raffigurata la Vergine Maria. Era Lei a proteggere
la vita dei popoli in armi. Era a Lei che ci si affidava. A Napoli, nel giorno
in cui tutto il popolo accorreva a Piedigrotta, a piedi sca1zi con i vestiti
più belli, con carri ricchi di finiture e cavalli bardati elegantemente, lo
Stato voleva dimostrare di condividere la gioia della festa. Lo stato vi si
recava con i suoi soldati, dalle divise sgargianti e colorate, con le fanfare
che contribuivano a costruire il motivo della festa, per affermare la solennità
della cerimonia. L'armata si allineava austera, solenne, marzialmente
disciplinata, impregnata di un fasto che nel corso degli anni divenne rituale.
Il popolo era colpito e conquistato da tanta magnificenza che faceva affiorare
un sentimento di orgoglio e di piena identificazione con la Nazione.
"Cocchi sontuosi, carrozze padronali, mastodontici char‑ à‑bancs
pienissimi di gente festante, balconi addobbati e gremiti di dame incipriate,
imbrillantate e bellissime, la marzialità alta e austera negli atteggiamenti
e nei volti dei soldati e degli ufficiali partecipanti alla parata era uno
spettacolo tale cui il popolo napoletano non sapeva e non voleva
sottrarsi"15. Dopo la vittoria di Velletri (1744) Carlo di Borbone
proclamò il giorno dell'otto settembre festa nazionale e festa dell'esercito
e questa ragione spiega perché la parata divenne il motivo centrale della
solennità nel pellegrinaggio reale.
Essa
iniziava dalla chiesa di S. Maria della Vittoria, nell'omonima piazza, e
terminava alla chiesa di Piedigrotta. Alla sua testa vi era la Generalità
dell'esercito reale e tutti gli ufficiali di rango a cavallo. All'ora
stabilita compariva il Re su di una carrozza scortata da 8 cavalli. Questa era
seguita da altre carrozze, dette di rispetto, in cui prendeva posto la corte.
Latmosfera era solenne ed allegra. Carlo di Borbone giungeva davanti alla
chiesa di Piedigrotta accolto dalle autorità civili e religiose. Sostava in
preghiera davanti allimmagine della Madonna e quindi ritornava al palazzo
reale con le modalità dell'arrivo16.
Ferdinando
IV, succeduto a suo padre, si recò puntualmente alla festa di Piedigrotta nel
giorno canonico, con la berlina di Carlo. Col secondo re borbonico la parata
si modifica. Dalla mattina sino a mezzogiorno diversi reggimenti di fanteria e
cavalleria, unitamente ai rispettivi treni di artiglieria con i cannoni da
campagna e da montagna, tutti in sgargianti, marziali e galanti uniformi,
sfilano davanti al palazzo reale. Quindi si dirigono verso la riviera di
Chiaia. I reggimenti vengono schierati in forma di battaglia con una linea
composta di più righe di soldati, con agli estremi i corpi di cavalleria e
negli intermedi tutto il treno di artiglieria. I Vascelli in rada., lungo la
riviera, alzano le bandiere. Parte il corteo reale. Giungono il Re e la Regina
seguiti dai principi reali e dal governo17. Francesco I, succeduto a suo padre
Ferdinando, rafforza la magnificenza della parata. Le truppe sfilano sin dal
mattino davanti al palazzo reale. Il Re è presente alla cerimonia. Con lui vi
sono il principe ereditario, duca di Calabria, la Regina ed i più illustri
personaggi della corte. Le truppe si vanno a schierare lungo la riviera di
Chiaia occupando, divise in due file, i due lati della strada da palazzo
Satriano alla Chiesa della Vergine di Piedigrotta. Il largo davanti alla porta
della chiesa veniva contemporaneamente riempito da un battaglione di
granatieri della guardia reale. Il Cappellano maggiore porge ai Sovrani
l'acqua benedetta. Con Lingresso del Re in chiesa ha inizio la funzione che
si conclude alla benedizione con il Santissimo. Il Re fa ritorno a palazzo
reale mentre le truppe sfilano in direzione dei loro quartieri.
Con
Ferdinando II, che successe a suo padre Francesco I, le parate assunsero la
magnificenza massima ed i cronisti esteri che ebbero la fortuna di assistervi
ne hanno scritto in termini celebrativi. Il tedesco K. A. Mayer, che
assistette ad una parata, ci ha lasciato il seguente ricordo: "Al mattino
della festa risuonano tutte le campane della città, e tutti si riversano
verso la chiesa a Posillipo, per offrire alla regina delle Madonne la dovuta
venerazione. Nel pomeriggio le truppe che sono a Napoli passano sfilando
davanti al palazzo reale: il re insieme ad altri alti personaggi sta
sull'altana. Il loro numero ammonta a dodicimila. Essi, per il contegno
militaresco, le belle uniformi e il bell'aspetto, sono effettivamente uno
splendido colpo d'occhio. Questo vale particolarmente per le guardie e gli
svizzeri. Cori musicali si susseguono sulla piazza reale e accompagnano la
loro marcia con le più svariate melodie. Vi è un guazzabuglio di musiche e
di truppe. Tu vedi le guardie in uniforme color rosso scuro con berrettoni di
pelle d'orso, piccoli tiratori in verde, la cui patria è la selvaggia
Calabria; grandi e biondi svizzeri, magri e bruni siciliani, tarchiati marinai
con risvolti gialli sul petto, corazzieri con un'armatura d'oro lucente, ulani
con calzoni rossi, ussari la cui giubba è guarnita di lacci bianchi, e come
altro si chiama la variopinta gente d'arme. In questa occasione compaiono
anche ottomila uomini della bella guardia nazionale, il cui capo è il
principe Leopoldo, onde complessivamente il numero delle truppe ammonta a
ventimila. Terminata la parata, le truppe si dispongono dal palazzo fino a
Santa Maria di Piedigrotta, per la lunghezza di circa una mezz'ora di strada,
ai due lati della strada, e così a destra e a sinistra si forma tra l'innume
folla di popolo incalzante, una triplice spalliera, che il re e la corte
attraversano, per andare alla chiesa, in carrozza. Al tempo stesso l'armata
navale con mille piccoli stendardi si avvicina agli ormeggi a Posillipo.
Tuonano i cannoni dei cinque castelli, risponde l'artiglieria navale, e la
processione si mette in moto, lungo il mare, tra case le cui finestre, balconi
e tetti, brulicano di uomini. Appare prima uno squadrone delle guardie nobili,
giovani napoletani di case nobili e ricche che cavalcano i più scelti
cavalli; poi segue un compartimento di alabardieri a piedi, una truppa, a cui
è affidata la guardia dei castelli, poi come richiede l'etichetta spagnuola,
che è passata a Napoli dalla Spagna, la carrozza reale da gala e da cerimonia
che è tutta ricoperta di piastre d'oro, una strana scatola con dietro in
piedi i domestici e nessuno dentro; poi otto carrozze a sei cavalli con
ciambellani in abiti trapunti d'oro, poi, attorniati da venti alfieri, in una
sontuosa carrozza, tirata da otto cavalli di razza, le due maestà in
grandissima gala. La pallida, bella regina porta una piccola corona d'oro, la
sua chioma è trapunta da diamanti. Alla carrozza reale seguono due compagnie
della guardia del corpo e della guardia nobile, poi vengono ancora dodici
carrozze a sei cavalli coi fratelli e lo zio del re. e col seguito della casa
reale. Uno squadrone di guardie d'onore chiude il corteo. Gli alti personaggi
scendono davanti alla chiesa, viene rivolta la tradizionale, breve preghiera
di ringraziamento, e si ritorna indietro. Questo accade solo di notte, sebbene
il corteo abbia avuto inizio alle cinque; tanto lentamente esso si muove"
18.
Francesco
II appena salito al trono fece in tempo a recarsi alla Madonna di Piedigrotta
nell'ambito della tradizionale parata, festa nella festa. La corte era in
lutto per la recente morte di Ferdinando II. L'occasione di Piedigrotta diede
l'opportunità al giovane Re di mostrarsi in pubblico, ufficialmente, per la
prima volta. All'ora consueta del giorno 8, in una Capitale gremita di
forestieri giunti dalle provincie più lontane per la Festa, circa 45.000
soldati sfilarono sotto i balconi della reggia. I Sovrani ed i principi di
sangue resero omaggio ai soldati, affacciati al balcone della reggia. Poi, giù
per via Gigante, Santa Lucia, la Riviera, sino alla storica grotta, i soldati
si distesero su due file, trattenendo a stento i curiosi. Da forte S. Elmo
partì un colpo di cannone. Era il segnale che dalla reggia stava uscendo il
corteo reale aperto da otto carrozze con i gentiluomini di camera nelle divise
varie di seta ed oro19. Con la fine del regno non vi furono più parate. Dalle
provincie del cessato regno non accorsero più i pellegrini, come un tempo,
perché a Napoli non vi era più il Re e Napoli stessa non era più la
capitale.
Piedigrotta
restò una festa religiosa ingoiata da un folclore privo di senso. Ma un
nostalgico ricordo della parata sopravvisse nelle marziali trombette di latta
e nei tradizionali elmi chiodati di carta velina con i quali i bambini
scimmiottarono, alla festa di Piedigrotta, i soldati del re napoletano.
6
Ferdinando II e Piedigrotta
La
festa onomastica di Ferdinando II è per noi l'occasione annuale di mettere a
fuoco alcuni aspetti della sua poliedrica figura, ancora oggi poco e
negativamente conosciuta. Il rapporto che Ferdinando II ebbe con Piedigrotta
fu inquadrato nella solennità della parata, nell'ufficialità della
cerimonia, che vedeva lo Stato inchinarsi pubblicamente al piedi della Vergine
Maria nel giorno anniversario della sua nascita. Sarebbe pertanto più logico
parlare della festa di Piedigrotta nell'età ferdinandea per comprendere a
pieno il ruolo del grande re napoletano anche se la personalità dirompente
dei sovrano ci obbliga a tratteggiare ancora una volta un suo profilo
personalissimo per l'amenità di alcuni aneddoti che lo legarono a Piedigrotta.
Durante
il regno di Ferdinando II (1830‑1859) cadde il quinto centenario del
ritrovamento miracoloso della statua lignea e della fondazione della chiesa di
Piedigrotta (1853). La sua persona risulta legata inevitabilmente
all'anniversario ed ai festeggiamenti che per l'occasione si tennero. Egli
volle che la piazza antistante la chiesa, divenuta il punto di sbocco del
nuovo corso Maria Teresa, fosse ripulita di tutte le fatiscenti strutture
laterali ed illuminata da una corona di grandi candelabri a gas. Provvide, a
sue spese, al restauro generale della Chiesa, pavimentando in marmo le
strutture interna ed esterna. Del resto è notorio che Ferdinando II pur
parsimonioso, non lesinò mai aiuti quando si trattò del decoro della santa
religione.
Per
le celebrazioni del V centenario sono restati famosi due aneddoti. Li vogliamo
ricordare e con essi concludere la nostra esplorazione su Piedigrotta perché
rappresentano benissimo la mentalità del nostro Ferdinando II.
Il
Re volle che tutta la truppa residente in Napoli partecipasse alla solenne
processione svoltasi alla fine di agosto dei 1853. Volle soltanto due bande
musicali, quella della Guardia Reale e quella dei Carabinieri, osservando che
se fossero state di più avrebbero distratto i fedeli. Quando il priore del
santuario, don Luigi Maria Tibet, chiese al Re un plotone di Guardie dei Corpo
per collocarle metà prima e metà dopo il lungo corteo, il Sovrano, un po'
contrariato, rispose: "Patre e priò, le guardiaccorpe servono sulo ppò
rré. Il priore fece osservare che esse servivano per scortare il corteo in
onore della Madonna, Regina delle regine, ed il Re convinto
dall'argomentazione alzò una mano in segno di resa, piegò il capo in segno
di consenso e concesse le guardie del corpo20. La processione ebbe luogo il 29
agosto. Percorse la riviera di Chiaia, la strada omonima, Piazza Carolina,
Piazza S. Francesco di Paola e discese per il Gigante, S. Lucia e Riviera,
rientrando a Piedigrotta. Il Re, con l'intera famiglia reale, stette fermo
sino alla fine, affacciato all'ultimo balcone della reggia, ad attendere il
passaggio della processione, durata parecchie ore. L'altro aneddoto riguarda
la tradizionale visita dell'otto settembre al santuario. Finita la S. Messa,
ossequiando il priore Tibet, il Re disse: Priò, prosit dò centenario".
Il priore, caduto in una banale retorica, rispose: "Maestà, auguriamoci
di vedere anche l'altro" sentendosi replicare: "Priò, chisto mo è
troppo. Cuntentammoce 'e chisto!21.
7.
Conclusioni
Inevitabilmente
abbiamo finito per fare una piccola storia di Piedigrotta. E' stato
inevitabile perché intendevamo far comprendere lo spirito che era alla base
della Festa: spirito che si inseriva nella vita della Nazione Napoletana.E'
vero che abbiamo fatta una piccola storia di Piedigrotta; eppure non abbiamo
parlato della visita che il santo padre Pio IX vi fece dopo il soggiorno a
Gaeta, ospite di Ferdinando II. Non abbiamo descritta nei dettagli la parata
svoltasi per il V centenario, nel 1853, che vide prendervi parte, tra le
formazioni militari, anche il collegio della Nunziatella. Abbiamo tralasciato
tante cose. Ma pensiamo di aver detto l'essenziale per sostenere che
Piedigrotta fu uno degli elementi, magari di tipo esteriore, per la Festa, che
cementarono spiritualmente la Nazione Napoletana. E non a caso tutte le volte
che il regno fu occupato Piedigrotta decadde. Avvenne nel 1799 con i giacobini
padroni di Napoli. In ogni strada della capitale si innalzarono alberi della
libertà ed i credenti dovettero assistere al triste spettacolo di ufficiali e
politici repubblicani che ballavano davanti al Santuario con le peggiori donne
della zona.
Avvenne
dopo il 1806, con il ritorno al potere dei francesi. Essi emanarono la legge
dei 1809 relativa alla soppressione generale di tutti gli ordini religiosi. I
beni furono incamerati dal demanio e i Lateranensi di Piedigrotta subirono la
stessa sorte con l'inevitabile declino della vita del santuario. Soltanto alla
caduta di Napoleone, con il ritorno di Ferdinando IV, che divenne I,
Piedigrotta ritornò a fiorire con una luce che, in parte, abbiamo descritta.
Accadde infine dopo la conquista piemontese. Quando ancora i nostri soldati,
asserragliati a Messina e a Civitella del Tronto, combattevano contro
l'invasore, i Savoia con un regio decreto soppressero tutti i conventi
incamerandone i beni. E convento di Piedigrotta divenne ospedale militare ed i
monaci furono dispersi. A Piedigrotta rimase solo l'abate Luigi Maria Tibet,
il beneficato di Ferdinando II, al quale il governo lasciò generosamente due
stanzette che dovette dividere con un fratello laico. Soltanto la fede eroica
di alcuni devoti mantenne in piedi il culto mariano. Ma la Festa, la festa a
cui erano soliti accorrere tutti i sudditi delle Due Sicilie era finita per
sempre. Cullandoci come in un sogno, però lontani da ogni sentimento di
nostalgia retorica o romantica, rievochiamo per un ultimo attimo, nella nostra
mente lo splendore ed il fervore della passata Festa, con l'invocazione alla
Madonna che i nostri connazionali facevano prima di tornare alle loro
contrade:
'A
speranza e 'a mia fede
L'aggio
mise mmano a te.
Tu
'o vide e tu 'o saje,
Arremedia a
tutte 'e guaje.
Lettura
tenuta a Gaeta il 1996 dall'autore Francesco Maurizio Di Giovine.
a Ringrazio per laiuto fornitomi nella ricerca della bibliografica gli amici Lorenzo Terzi e Silvio Vitale.
1
G. Fiorita, Le due ltalie, Dall'Oglio, Milano, 1969, pagg. 6 e seguenti
2
L. Lombardi, Usi civici nelle provincie napoletane - Tipografia
Municipale, Cosenza 1882, ristampa anastatica Edizioni Brenner. Cosenza,
1996, pag. 39
3
L. M. Loschiavo, Storia di Piedigrotta, s.e., Roma 1974, pp. 11‑12
4
L. M. Loschiavo pag. 1
5
G. Porcaro, Piedigrotta, Fiorentino, Napoli, 1958, pag. 44
6
E una scultura in legno, di un solo blocco alto 160 centimetri,
dallaustera semplicità.
7
G. Nobile. Descrizione della città di Napoli e delle sue vicinanze,
divisa in XXX giornate. vol. l, Stabilimento tipografico del cav. G.
Nobile, Napoli, 1863
8
K. A. Mayer, Vita popolare a Napoli nell'età romantica, traduz. di Lidia
Croce, Laterza, Bari 1948, pag. 285
9
F. Mastriani , La festa di Piedigrotta, in F. De Boucard. Usi e costumi di
Napoli e contorni, vol. 1, Reprints Editoriali, Napoli 1976, pagg.
268‑269
10
Loschiavo, op. cit, pagg. 126‑127; V. Gleijeses, Il borgo di Chiaia,
E.S.I., Napoli 1970, pag, 218
11
G. Porcaro, op. cit, pag. 138
12
Loschiavo, op. cit, pag. 134
13
F. Mancini, I luoghi e le feste, pag. 20. in F. Mancini ‑ P.
Gargano, Piedigrotta, A Guida Editore, Napoli, 1991
14
D. Confurto, Giornali di Napoli dal 1679 al 1691, a cura di Nicola
Nicolini, vol. I, Soc. Nap. di St. Patria presso Lubrano, Napoli,
1930, pag. 107
15 G. Porcaro Op. cit., pag. 108
16
Nel museo di S. Martino, vi sono due quadri che raffigurano la parata
svoltasi nel 1747 o 1748, durante il regno di Carlo. Essi
documentano meticolosamente il corteo reale.
17
Di una di queste parate delletà di Ferdinando IV, il duca di
Serracapriola ha lasciato un ricordo vivissimo in un rame da lui inciso
dopo aver disegnato la vivace scena.
18
K. A. Mayer, op. cit. pagg. 295‑297
19
A. Caccavale, op. cit, pagg. 141‑142
20
L'aneddoto è riportato da Loschiavo, op. cit., pagg. 347‑348
21
Laneddoto è riportato nella rivista Il Santuario di Piedigrotta, anno
1904, pag. 44