Associazione Culturale Due Sicile – Sede di Milano
22 ott
Francesco Pappalardo
PREMESSA
La nazione italiana esiste da quasi un millennio come unità culturale e linguistica, pur nella diversità delle sue componenti, essendosi forgiata nel corso di ricche e tormentate vicende storiche, che hanno prodotto la molteplicità ma anche l’amalgama : infatti, la varietà dei quadri ambientali della penisola, l’ampiezza degli apporti esterni, il policentrismo urbano e regionale, che hanno fatto dell’Italia un insieme di esperienze e di tradizioni forse senza eguali nel mondo, affondano le radici in un terreno comune, cioè nel formidabile fattore unificante costituito dall’eredità latina e dal retaggio del cristianesimo, di cui l’Italia è la sede storica.
La civiltà italiana, fiorita su un coacervo di realtà differenziate, ha trovato, dunque, il suo collante, l’elemento di raccordo e di comunicazione culturale fra le diverse componenti, nel sentimento religioso, caratterizzato soprattutto dall’ortodossia e dalla fedeltà alla Cattedra di Pietro.
L’Italia, luogo d’incontro fra romanità, grecità e cristianesimo, è stata, grazie all’esperienza benedettina, “ […] quasi un laboratorio dello spirito europeo” – come si è espresso Papa Giovanni Paolo II, il 15 ottobre 1994 -, e nella cultura della nazione italiana si è manifestato in vari modi il genio del cristianesimo. “ Il popolo italiano – scrive il politologo Giovanni cantoni -, la cui identità religiosa, quindi eminentemente culturale, è stata costituita dalla Chiesa, erede di istituzioni romane e convertitrice dei barbari, nei secoli dell’Alto Medioevo, [raggiunge] la propria maturazione nazionale spontanea – cioè non promossa da un potere temporale – all’apogeo del Medioevo “.
Eredi dell’universalismo romano e cristiano, e nello stesso tempo consapevoli della ricchezza della loro storia sociale e politica, gli italiani oscilleranno sempre fra l’apertura all’universale e l’attenzione al particolare, fra il senso dell’appartenenza nazionale e l’attaccamento alla comunità locale, in una tensione inevitabile ma feconda, finchè vissuta con sereno equilibrio.
I grandi e i piccoli tasselli del mosaico italiano avranno sì una logica autonoma di sviluppo, caratterizzata da vicende che non vanno concepite semplicemente come un lungo prologo a un’inevitabile unità politica, ma daranno anche vita a una comunanza di cultura e di civiltà che trascendeva i singoli Stati.
Il rifiuto di questa eredità caratterizza, invece, l’operato dei ceti intellettuali e dirigenti postunitari, che hanno pensato e tentato di dare all’Italia una nuova personalità in opposizione alla tradizione cattolica, che ha vivificato e modellato nel corso dei secoli i costumi, la mentalità e il comportamento degli abitanti della penisola.
Il politologo Ernesto Galli Della Loggia, nel suo breve ma denso saggio su L’identità italiana, descrive il “carattere immediatamente ideologico dello Stato ( a causa della sua origine da una rivoluzione/guerra civile ) “ e individua nelle modalità dell’unificazione del 1861 la causa principale della frattura fra l’antichissima identità “italiana” e la moderna identità “nazionale”, che oltrepassa di poco il secolo ed è percepita tuttora come fragile.
Alla base della debolezza di questa nuova identità e della fragilità storica dello Stato italiano, “calato dall’alto”, ci sono appunto la scarsa legittimazione popolare della costruzione unitaria, “risalente alle sue origini risorgimentali”, e l’opera di quello che Massimo Introvigne, sociologo delle religioni, chiama “partito anti-italiano. Per questo partito “fatta l’Italia” non si trattava soltanto di “fare gli italiani”; si trattava piuttosto di fare l’Italia contro gli italiani, o di disfare il tradizionale ethos italiano radicato nel cattolicesimo”.
Contro questo tentativo la prima forma di resistenza, anche armata, è quella dei legittimisti, cioè dei sostenitori delle dinastie spodestate dai Savoia. Il legittimismo, nel Grande Dizionario della Lingua Italiana, è definito come “corrente di pensiero e atteggiamento politico di coloro che nel secolo XIX, in contrasto con le posizioni laiche e democratiche della rivoluzione francese e del liberalismo ottocentesco e sulla base di rigide posizioni tradizionaliste e antilluministiche, sostenevano il principio di legittimità”, che è “giustificazione etico-giuridica del potere politico e, in genere, dell’ordinamento politico sociale di una nuova comunità, in quanto fondato su determinati principi e valori di natura etico-politica o etico-religiosa, riconosciuti come fondamentali della società interessata.
In contrapposizione al legittimismo e al lealismo – “ Atteggiamento (per lo più di ispirazione conservatrice) di fedeltà al sovrano o al potere politico costituito “ – fa la sua comparsa la nozione di Rivoluzione. Questo contrasto trova espressione felice in alcune affermazioni dell’uomo politico Albert conte de Mun, fatte alla Camera dei Deputati francese nel novembre 1878 : “ La Rivoluzione è una dottrina che pretende di fondare la società sulla volontà dell’uomo piuttosto che sulla volontà di Dio”; e ancora, in un discorso al Cercle Catholique, del 22 maggio 1875 : “Essa si manifesta attraverso un sistema sociale, politico ed economico, sbocciato nella mente dei philosophes, senza attenzione alla tradizione e caratterizzato dalla negazione di Dio sulla società pubblica. In questo consiste la Rivoluzione e in questo bisogna attaccarla”; infine, sempre alla Camera, nel novembre 1878 : “ Il resto non è niente, o, piuttosto, tutto deriva da questo, da questa rivolta orgogliosa dalla quale è uscito lo Stato moderno, lo Stato che ha preso il posto di tutto, che è diventato dio e che rifiutiamo di adorare. La contro-Rivoluzione è il principio contrario; è la dottrina che fa riposare la società sulla legge cristiana”.
In occasione della resistenza degli abitanti del Mezzogiorno, dal 1860 al 1870, il lealismo sentimentale – cioè l’affezione alla famiglia regnante – di cui un popolo dette ampia prova nelle difficoltà, rivela chiaramente che i sudditi giudicavano i loro governanti come “meritevoli di lealtà”, nonostante il deterioramento assolutistico della monarchia, e che dunque il loro atteggiamento era fondato non solo su elementi soggettivi – appunto l’affetto -, ma anche su elementi oggettivi, cioè sulla fedeltà dei sovrani al patrimonio di valori civili e spirituali della nazione. Il loro sacrificio merita di essere ricordato, a oltre un secolo di distanza, proprio mentre la crisi degli Stati “nazionali”, senza attentare alla loro unità politica, consente di riscoprire le piccole patrie e, auspicabilmente, i valori sui quali esse sono state edificate nel corso dei secoli.
Edito da Tekna- Via della Meccanica 16 – 85100 Potenza -
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